Articolo:
E. Terzano, "Il brutto e il bello e il commercio dell'arte",
in Il nuovo laboratorio, Bologna, a. VI, n. 31, luglio, 1987.
Il brutto e il bello e
il commercio dell'arte
"Non gli viene da te, ahimé, né da sua madre quello
spasmo d'attesa, che è nell'arco delle sue sopraciglia. Non al
contatto di te che l'hai nel cuore, fanciulla, non al contatto di te
s'è inflesso il suo labbro a espressione più feconda.
Credi davvero che l'abbia scosso così il tuo apparire leggero,
tu, che vai come la brezza del mattino? Certo gli turbasti il cuore,
ma turbe più antiche si scaricarono su di lui all'urto di quel
tocco."
R.M. Rilke, Elegie
Duinesi, III14-21.
Ci sono dei luoghi
dove è molto piacevole affondare gli occhi fino a stordirsi e
l'arte offre il campo di visione ad occhi affamati di buon gusto. Ciò
genera un bisogno che alimentiamo a tratti, in certi momenti, quando
il resto non basta. Purtroppo ogni volta che sorge alla coscienza di
alcuni individui particolarmente avidi, che un bisogno circola ed esiste
(com'è il bisogno d'arte), subito nasce la tentazione di sfruttarlo
in qualche modo. E ciò, quando si tratta di cose legate all'irrazionale
(un mondo parallelo al quotidiano correre), o meglio a quella soglia
fra razionale e irrazionale, presente e assente, fra luce ed ombra e
sentito ed espresso, che è l'arte, genera curiosi disturbi, fa
sì che possano insorgere vere e proprie patosi estetiche.
Diciamo per brevità che il Brutto avanza con il suo carico depressivo,
insoddisfabile, proprio perché eccessivamente desiderante e conquista
sul Bello quieto, raggiante, forte, consapevole del Brutto e dei suoi
limiti, che si nasconde, si sottrae, lasciandosi coprire dal Brutto
(la sua grevità gli impedisce di distinguere il Bello), in attesa
che gli occhi lo reclamino: egli arriva solo se chiamato, solo se preparato
si manifesta.
Le opere, i quadri, quando il Brutto domina appiattiscono, non parlano
più, sono senza senso. Oppure annoiano, angustiano, ossessionano
per come sono cupi, assillano nell'incessante ripetizione, incubano
sogni paralizzati. Dopo di che non si è più soddisfatti,
non si ha più piacere, non ci sono letture da compiere. In quei
lavori il senso è disperato, in essi nulla è stato trasferito
dall'autore che voglia essere comunicato a chicchessia. Spesso questa
"non voglia" è un'incapacità che per non interrogarsi
si evita di riconoscere.
In genere i luoghi del commercio dell'arte raramente coincidono con
i luoghi del bisogno di arte. Non tutto naturalmente è così
buio e vuoto. Ci sono gradazioni di senso in ogni cosa, si possono trovare
quadri da leggere come si trovano pittori che hanno molte cose da dire.
Questi riescono a far passare attraverso la tela, all'esterno, come
in uno specchio, un'immagine del Se, quando sono molto bravi, o più
modestamente e con dignità, dell'Io.
Enzo Terzano
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