Articolo:
E. N. Terzano, "L'evoluzione della commedia all'italiana"
in Sipario, a. XXXVII, n. 410, Milano, marzo-aprile 1982 (al testo
in italiano segue abstract in English).
L'evoluzione
della commedia all'italiana
"
molti dicono che lo zucchero è dolce;
io invece lo trovo violento
"Roland Barthes "La camera
chiara"
"
a far la donna onesta davvero non conviene
"
così cantava la 'bersagliera' Lollobrigida in "Pane,amore
e fantasia" di Luigi Comencini del 1953: film che diede suggerimenti
e un vero e proprio start strutturale alla commedia popolare più
tardi definita "commedia all'italiana". I temi ci sono già
tutti: il villaggio; la provincia; la fame; la povertà; il
gallismo maschile; la strafottenza femminile; una esibizione interminabile
della virilità sottintesa in quella ricerca della felicità,
raggiungibile, in qualsiasi condizione economica, con la soddisfazione
del cuore, e una leggera satira sociale che non ha ancora il coraggio
di essere critica.
Si comincia ad assistere agli intrighi tra: il parroco, il maresciallo,
l'appuntato, la guardia di finanza, la levatrice, le mammoni popolari,
istrioni ambulanti che fanno la rivista, muli, e bersagliere all'amore,
scandalose quando ballano cheek to cheek. "Commendatore lei è
un uomo geniale!", gli sarà stato detto a Comencini per
il successo ricevuto e di saper così bene interpretare le voglie
del popolo, in ciò che allora passò come "neorealismo
rosa" o più genericamente come "commedia rosa",
battezzando le uscite dalle tristezze quotidiane di allora e pesantissime
di qualche anno prima. Una generale assoluzione e ammiccamenti: agli
ammaliatori ben fatti, ai peccatori perdonati, alle grosse fesserie
compiute, ai corruttori timorati
nell'affratellamento generale
della canzone e in un opportuno appiattimento delle differenze, in
sintonia all'italianissimo "siamo tutti nella stessa barca!".
Nel grosso riso collettivo le mammone sempre vestite di nero si consolano
temporaneamente: dei figli derubati, dei mariti persi, della casa
distrutta, della vigna attraversata dai carri armati alleati, del
corredo della figlia inevitabilmente macchiato di ruggine dalle armi
tedesche, lasciandosi mettere a letto, fra lacrimoni, dai piccini
scalzi e mariuoli per forza. Negli anni successivi dalla campagna
si passa alla città, meta di un'ondata di migrazione interna,
dell'inurbamento massiccio e incontrollato, di personaggi col fascino
delle maggiori possibilità che le metropoli chiassose e già
crudeli possono offrire. "Pane, amore e
" e "Poveri
ma belli", rispettivamente del '55 e '56 di Dino Risi, osservano
questa realtà popolare e giuggiolona in maniera brillante e
con grande successo commerciale. Nel 1958 con "I soliti ignoti"
di Mario Monicelli, autore che andrà alternando film drammatici
a film comici, inizia il filone della commedia "nera". Si
esprimono perplessità sulla realtà urbana e i suoi emarginati
trattati sul filo di una leggera critica sociale che non riesce ad
essere incisiva. Nei primi anni '60 si affermerà l'uso sistematico
del personaggio-tipo fenomeno che accompagnerà la commedia
fino ai nostri giorni segnando in gran parte la sua crescente fortuna
commerciale. Il ruolo importantissimo del 'mattatore' a cui prestano
volto attori come: Gassmann, Sordi, Manfredi, Tognazzi, Mastoianni
e in misura minore Salce
che nella commedia hanno avuto possibilità
di formarsi e affermarsi come individui carismatici. Seppure in ruoli
omogenei, si propongono con sottili sfumature riconosciute dal pubblico
segnando quelle caratteristiche maschere a cui si adatteranno i copioni
degli sceneggiatori di mestiere: Age e Scarpelli, Zapponi, Maccari,
Scola
Volti che il cinema d'oltr'alpe non ha potuto utilizzare
per un decennio essendo, per via di sempre uguali apparizioni, connotate
da segni percepibili da un pubblico strettamente nazionale.
Negli anni '60 della commedia socialdemocratica, dell'affermazione
dei modelli sulle bozze del decennio precedente, ci si è persi
fra i meandri di un rispolverare consolatorio del ventennio fascista
un "adesso non siamo più così!", confrontato
al coraggio di guardarsi indietro che autori tedeschi di oggi, seppure
con notevole ritardo, realizzano con quanta determinazione in più
e esattezza e rigorosità non riducente. Si sono già
autocelebrati e storicizzati e consumati tanto da non sentire oggi
- gli stessi autori di allora - che quell'esperienza, anche se fatta
in sottofilone rispetto all'impegno di un Rossellini ("Il generale
della Rovere" del 1959), avrebbe potuto servire almeno ad evitare
di piombare nelle nullità cinematografiche realizzate nel presente.
Mi riferisco a "Tutti a casa" di Luigi Comencini del 1960,
con l'aiuto di Age e Scarpelli, il quale riesce a disperdere in variazioni
macchiettistiche la presa di coscienza di uno sbandato sottotenente
del fascio (Sordi) che risolve la sua crisi con un poco illuminante
e soprattutto improbabile gesto sentimentale. Tuttavia appare ancora
decoroso se confrontato ad altri suoi film. Si passa poi a Dino Risi
e al suo "La marcia su Roma" del 1962 con i birignao spettacolari
di un fascismo presentato goffo, pieno di ammiccamenti e strizzate
d'occhio al pubblico esorcizzanti un coinvolgimento critico. Per finire
sui pericolosissimi terreni toccati da Salce con "Il Federale"
del 1961: commedia alimentare e scatologica che in primo tempo lancia
anatemi ridicolizzanti, i fascisti e gli antifascisti, per scivolare
in una totale assoluzione benedicente l'affratellanza patriottica
con recupero generale. Questo sottofilone satirico è stato
iniziato e sfruttato da un produttore come Dino De Laurentiis che
con "La grande guerra" di Monicelli (1959) ha dato sfogo
al bozzettismo antifascista chiamando a sé gli stessi autori
che pochi anni prima avevano narrato le "bersagliere" e
i "fusti". Sdrammatizzando gli errori passati, anche se
permeati da un'indubbia generica condanna, si è riusciti a
sgretolare il coinvolgimento critico che altri autori andavano faticosamente
raccogliendo.
Negli anni successivi abbiamo visto la sabbia rosa delle spiagge corse;
yachts ormeggiati nelle rade di Taormina; complessi: industriali del
Nord Italia e sessuali del padrone - comunque efficiente dentro la
sua super accessoriata fuoriserie importata e assistita direttamente
da tecnici Made in England. Ospedali privatissimi ed esclusivi - con
i primi giardini di palme e datteri, magnolie e lilla ben tenuti -
diretti da indiscutibili dottori "Baroni" piuttosto Potain
che Cottard, frequentati da commendatori ed eccellenze invidiatissime
e imitatissime. Nelle farse del decennio '60 bonaccione e consumista,
dove tutta Italia (ma quale?) era lanciata nel volubile boom da usa
e getta (la prozia conserva tutto): col canapè d'imitazione
comprato comunque a Parigi e le orchidee selvagge della 'Val Padana';
il vestitino però è personalizzato a Milano da stilisti
in voga e la radio a transistor e la Nikon comprati dal babbo ad Anacapri
senza batter ciglio per un buon prezzo. Tutte le vicende, attimo per
attimo, dell'acquisto del collier della mamma per anni sacrificata
al rifulgere della figlia, che per legarsi a buone amicizie ha bisogno
di portarsi vistosi sul petto le fattezze economiche del babbo. I
party porconi di commendatori influenti e corrotti con i moralismi
di una sociologia da Readest Digest's. Ma erano poi così sofisticati
Tognazzi,
Gassmann, Chiari, Koscina e le pin up americane sugli esempi più
verosimili che ci aveva dato Fellini?
Ci si riferiva a un pubblico
borghese quando si è cominciato a fare una politica delle prime
visioni con l'opportuno isolamento delle classi più agiate
dentro le comode sale, silenziose ed esclusive, del centro cittadino.
A queste classi, finanziariamente e culturalmente, si è guardato
nella stesura dei soggetti e nella scelta degli attori. Per incarnare
i sogni ancora provinciali dei noveaux riches e di chi voleva godere,
riempiendosi gli occhi, delle spensieratezze e possibilità
altrui nel sogno di possedere le taighe mongole, il sole davanti e
la luna dietro e le perle nere; visibili sogni immediati di tutte
le massaie italiane da 'Treviso ai monti dell'Abruzzo'. Nelle commedie
di lusso - quasi sofisticate - di Bevilacqua, Risi, Wertmuller, Monicelli
e in misura minore Lattuada.
Gli anni '70 della recessione iniziano con una deevoluzione della
commedia all'italiana, non nel senso di un ritorno ai beni proletari
e contadini degli anni '50 della commedia rosa fatta in un contesto
neorealistico, ma di uno slittamento precipitoso verso il soap sottoculturale
di una comicità ridotta a nonsense con nips politici grossolani,
generalizzati e qualunquisti. Gli astri nascenti sono già covati
da tempo e vengono pubblicizzati dalla TV di stato in cui fanno comparsa,
in veste di spalla, a fianco agli ospiti d'onore, i vecchi 'mattatori'.
Chi viene dall'avanspettacolo; chi già star della musica leggera;
chi dai cabaret molto small della Milano dei night del week-end; chi
già videostar. Non si potrà nemmeno più parlare:
di maschere, di caratteri, di volti, di bravura, di attore, di fronte
a personaggi calati identici a recitare sé stessi in film a
vasi comunicanti e iterativi. Si rimase esterrefatti di un annebbiamento,
sperato provvisorio, della lucidità di massa; e dei nomi, un
tempo impegnati in decorose prestazioni, letteralmente prestati a
realizzazioni di film non condivisi e visibilmente confezionati in
fretta. I temi dei film passano attraverso i filtri analfabeti di
idee spazzatura non più pretenziose ma semplicemente scadute.
Un abbandono di quella apprezzabile imitazione della commedia d'oltre
oceano che fino ad allora si era tentato e che comunque ha rappresentato
un modello, non fosse altro, per la sua buona realizzazione formale.
Pare che di romantico si sia già parlato allora. In quell'oggi
dopo le prime stragi e venti terrorizzanti della vita nazionale, si
cominciava ad essere inquieti ed esaltare un ieri calmo e tranquillo,
pieno di cose piccole ma belle e pulite e soprattutto pieno di pace
"Anonimo Veneziano" di Enrico Maria Salerno del 1970 viene
a rimuovere in sala qualche tremore stimolando col soffio elettrizzante
dell'amore a distogliere volutamente lo sguardo dalla finestra per
rientrare nelle nebbie flou e merlettate di un intimo in crisi e struggente.
Un film con pretese artistiche non mantenute che rispolvera il romantico
in pieno modernismo a ristabilire un ordine classista desunto da medie
morali ancora troppo old da essere e divenire fenomeno. Ma il filone
melò, soap, e chincaglico lacrimoso - corrispondente ai Junk
Food che il pubblico sempre più fa della televisione divora
nei momenti più depressivi dello sceneggiato - è uno
dei momenti eterni del cinema. Se ne sono prodotti anche nel '68 ("Romeo
e Giulietta" di Zeffirelli) al di là se l'esterno fosse
politicizzato, moderno, elettronificato, se si viveva il boom o la
crisi.
Raccontiamo una commedia
Emerenziano Paronzino (Ugo Tognazzi) è un ligio vicecapo in
servizio nell'ufficio delle Imposte di Luino sul Lago Maggiore. Il
suo sguardo inquisitore cade su una eredità ricevuta da tre
sorelle le Tettamanzi tutte casa e chiesa e non per questo insospettabili.
Il funzionario viene ricevuto nella casa e fra preghiere, coccole
e tazzine di caffè viene convinto a desistere dal suo intento:
dalle belle gambe di Tarsilla, dalle belle mani di Camilla e dai bei
capelli di Fortunata che subito sposa.
Al ritorno dal viaggio di nozze s'insedia come un pascià in
casa dispensando a turno, alle tre donne, le sue qualità galliche
di maschio, nell'assunzione che tutto non si può avere da una
sola. Ma la troppa fatica, distribuita anche alla serva, gli costa
la paralisi
e le tre sorelle continuano a vezzeggiarlo e riverirlo
portandolo trionfalmente a passeggio sulla carrozzina a rotelle. Si
tratta di "Venga a prendere il caffè da noi" di Alberto
Lattuada, sceneggiatura di Lattuada, P.Chiara, T.Kezich, A.Baracco
tratta dal romanzo di P.Chiara "La spartizione".
Franco Franchi e Ciccio Ingrassia con una media di dieci film all'anno
hanno coperto un mercato secondario, ma vasto e fedele, consumato
nelle scomode sale fumose e chiassose dei piccoli centri e dal pubblico
delle terze e quarte visioni delle città. Sono stati utilizzati
da registi importanti: De Sica nel "Giudizio universale"
del 1961 e Pasolini in "Che cosa sono le nuvole" episodio
di "Capriccio all'italiana" del 1967. La loro produzione
consiste in subitanee uscite al seguito di grossi successi, riprendendone
vagamente il tema e parodiandone stravolgendone il titolo. Si pensi
a "Brutti di notte" speculando sul film di Bunuel, o inseguendo
episodi di successo "Indovina chi viene a merenda", "Per
un pugno nell'occhio" ecc. Una sperimentazione di tutte le possibilità
situazionali: il western, l'horror, il thrilling, l'avventuroso, tutto
appiattito a commedia in decine di ruoli: i pistoleri, i ricercati,
gli agenti CIA, i preti, i mafiosi, i deputati, i cavalieri in crociata,
i pirati, i carcerati, i fantasmi, i gangsters
Purtroppo non
sono Fanfulla e Trottolino dell'avanspettacolo già morto ma
di cui si sono nutriti estraendone il peggio. Formati nell'ambiente
palermitano, sul finire degli anni cinquanta prima di approdare a
Roma, sull'eco di un divertimento gestito sulla triade: cosce, satira
e volgarità fondano su quest'ultimo elemento l'essenza delle
loro gags comiche future.
Dalla Sicilia, negli stessi anni, approda Lando Buzzanca; scoperto
da Germi in "Divorzio all'italiana" del 1961, prosegue nella
realizzazione di numerose commedie ridanciane fino alle più
ambiziose prestazioni nel "Merlo Maschio" del 1972 di Pasquale
Festa Campanile in accoppiata con Laura Antonelli e Lino Toffolo.
Il personaggio interpretato da Buzzanca incarna il sogno meridionale
di inserirsi nella società settentrionale, con una sistemazione
economica di rispetto in un ambiente che non rifletta in maniera frustrante
il suo complesso di immigrato, emancipazione che si accorda con l'esibizione
di una donna bellissima presa in moglie e offerta agli amici. Negli
anni successivi "Io e lui" (1973), "Il domestico"
(1974), "Il gatto mammone" (1975) proseguono l'invenzione
del personaggio balordo ma furbo che sotto sotto ne fa di belle 'fregando'
tutti.
Adriano Celentano - non lo dimostra - ma sono ventiquattro anni che
fa film, da quando in quel lontano 1957 compare in una presentazione
cantata dall'edizione italiana, di "Don't Knock the Rock"
di Fred Sears, i "Frenetici".
L'anno successivo la sua seconda apparizione, sempre in un film made
in USA, "Go, Johnny, Go!" di Paul Landres ("Dai, Jhonny,Dai!").
Nel 1960 si presenta con un film di Lucio Fulci, "Urlatori alla
sbarra" del 1960. Continua a cantare in un'apparizione nella
"Dolce vita" di Fellini e in "Io Bacio
tu Baci"
di Pietro Vivarelli nel 1961.
Nel 1963 è attore nel calderone di Sergio Corbucci "Il
monaco di Monza" accanto a Totò, Macario, Taranto e Moira
Orfei. Nel 1965 passerà alla sua prima "Super rapina a
Milano" e negli anni successivi, sarà presente in una
serie di film musicali e comici con: Pietro Germi, Sergio Corbucci,
Alberto Lattuada, Pasquale Festa Campanile, Dario Argento, Franco
Rossi
fino ad arrivare al connubio fortunatissimo con Castellano
e Pipolo e ai vertiginosi incassi nazionali degli ultimi film. Il
fenomeno Celentano si è andato sempre più diffondendo
e consolidando nell'ultimo decennio, ma da "Yuppi Du" del
1975 ha preso delle connotazioni preoccupanti realizzando in pochi
film dei record di incassi che fanno prevedere un vasto consenso senza
discriminazioni di classe dalle grandi città ai capoluoghi.
In accoppiate felici con: Charlotte Rampling, Monica Vitti (con tutta
l'ammirazione per altre interpretazioni di prestigio), Sophia Loren,
Mariangela Melato, Claudia Mori, Eleonora Giorgi, Ornella Muti, Sylva
Coscina, Amanda Lear, Edwige Fenech, Paolo Villaggio, Renato Pozzetto,
Antony Quinn
ecc. secondo le miscelazioni periodiche fra le
varie coppie che da sole garantiscono il maggiore richiamo della commedia
oltre al titolo e le provocanti locandine.
Una recitazione iterazione degli stessi tic e trovate unita ad una
presenza continua sullo schermo (alla Nanni Moretti) che altrimenti
provocherebbe una caduta di tensione, arginata in minime parti, da
eventi particolarmente spettacolari o dal carisma del partner.
I film, dove compare, sono desunti dai modelli dello sceneggiato e
del varietà televisivo, in un completo abbandono di ciò
che è cinematografico (Castellano e Pipolo: registi e sceneggiatori
della televisione) in formule rassicuranti e ripetute fino all'ossessione,
ma di cui lo spettatore non pare curarsi.
Il fondo non è dolce, ma è quello che ci resta
Assistiamo al definirsi di generi e differenti sottogeneri, che lungi
dal rappresentare un universo semiologico caratterizzante, si identificano
più come pseudogeneri rendendoci immutate, nelle apparenti
varie sembianze, un unico tratto culturale omogeneo e univoco
Il sesso e l'adolescenza (Samperi, Rossati, Ivaldi); il bimbo in lacrime
( "Ultima neve di primavera", "Bianchi cavalli d'Agosto",
"Giubbe Rosse"
); il giallo all'italiana (Argento,
Tessari); i sado thrilling, i thrilling avventurosi, satirici, di
pura azione; la commedia tout court e: balneare, esotica boraboriana,
militare, storica, sofisticata, 'politica', giudiziaria, erotica,
nera, scolastica, siciliana
I comici: cheap (Villaggio), small (Pozzetto), furbi (Gassmann, Sordi),
tristi (Manfredi), mistificanti (Moretti, Verdone)
no star,
star nostrane inesportabili per la mostruosità del medio da
bellezze rionali che rappresentano. Il tutto condito con una ideologia,
ventilata e condivisa, da vasca da bagno godereccia e da doccia consumista.
I film di genere con un'immutata coalizione a ripetere non hanno nulla
da dire: gonfiano il gusto artificialmente; sono pieni di ambiguità
ideologica; moralisti; paternalisti; se un tempo rosa o socialdemocratici
ora sono solo qualunquisti in una rarefatta condizione morale difficilmente
esposta a cambiamenti nella preferenza del laido, deja vu e iper vu.
Enzo Terzano
The Italian comedy has had a suggestion and a real structural start
from Luigi Comencini movie "Pane, amore e fantasia"(Love,
bread and fantasy) in 1953. It is already possible to foresee in it
the basic themes always recurrent in the comedy: the province society,
hunger, the attitude of sex superiority on the part of men; the female
insolence; love and pseudo-political intrigues and that attitude of
satirical infusion of everything treated. In the following films the
character of "Mattatore" will take position. It is this
a type of character that will develop a real important function and
that is performed by certain authority actors as: Gassmann, Sordi,
Manfredi, Mastroianni, Tognazzi and Salce.
During the Fifties the Italian comedy is under the effect of neo-realistic
period and shows itself as "pink-comedy"; during the Sixties
it is involved in a progressive social-democratization, while in the
following ten years will slide toward themes often vulgar and plain
of an agnostic air regarding that complex political and social reality.
The genre movies recur in an unchanged co-action to repeat in the
preference of the ugly déjà vu and iper vu.